EBITDA is bulls*t earnings? - John Malone e Charlie Munger, la storia dell'indice più importante
Quando viene introdotto l'EBITDA, perchè viene utilizzato, quali sono i suoi punti di forza e di debolezza. Lo raccontiamo con il punto di vista del suo sostenitore e del suo critico più famoso.
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Io sono Carlo e questo è Business Solido, uno spazio in cui parlo del mio lavoro, di tutte le mie curiosità del mondo del business, della finanza, dei dati, della tecnologia, dell’innovazione.
Nella sostanza, cerco di capire in che modo un’azienda o un progetto, nel mondo di oggi, possa costruire valore solido nel tempo. Quali strategie, quali strumenti, quali comportamenti.
Se anche tu bazzichi tra questi argomenti, potresti trovare interessanti i miei contenuti. Ma per scoprirlo, prima devi dare una letta qui sotto.
Oggi parliamo di quanto un signore di nome Charlie Munger, consideri l’EBITDA un indicatore debole e non utile per la valutazione di un’azienda. Prima ancora, ne conosciamo la storia e il personaggio che ha reso così popolare questo strumento: John Malone.
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“Berkshire Hathaway, una delle più grandi società di investimento del mondo in assoluto, non avrebbe potuto raggiungere il successo senza l'ispirazione, la saggezza e la partecipazione dell'amico Charlie” - Warren Buffet
Queste le parole di Warren Buffet, considerato il miglior investitore di tutti i tempi su Charlie Munger, suo stretto collaboratore ed abile investitore, che ha contribuito alla crescita di Berkshire dal lontano 1962 sino ai giorni nostri.
Charlie Munger ci ha lasciati nel 2023.
Ora che abbiamo inquadrato il personaggio, chiaramente uno dei più importanti e famosi investitori dei nostri tempi, possiamo interpretare e comprendere una sua dichiarazione che potrebbe suscitare qualche perplessità per gli addetti ai lavori:
EBITDA is bulls*t earnings
Ma facciamo un passo indietro, serve un po’ di contesto..
Cos’è l’EBITDA?
Earnings before interest, taxes, depreciation, and amortization, meglio noto per semplicità come EBITDA, è un indicatore economico di bilancio che quantifica gli utili dell’azienda in un dato periodo al lordo di interessi sul debito, tasse, ammortamenti e svalutazioni.
È un indicatore oggi molto utilizzato per analizzare le performance aziendali, confrontare aziende simili e valutare un’azienda in sede di acquisizione o vendita, attraverso il metodo dei multipli (che vedremo in un altro approfondimento).
Come si calcola l’EBITDA?
Vediamolo in un caso concreto, aiutandoci con il bilancio di Nexi, azienda italiana (selezionata un po’ a caso) che offre infrastrutture per i pagamenti digitali a banche, aziende, istituti e pubblica amministrazione.
Nexi nel 2023 ha registrato un fatturato complessivo di oltre 3,3 miliardi, grazie a tre principali business units, con una struttura di costi operativi che copre circa il 48% dei propri ricavi, distribuendoli tra costi del personale (45%) e altri costi operativi (55%).
Ciò che rimane dalla differenza tra ricavi e costi operativi rappresenta il nostro EBITDA.
In sostanza, aiutandoci con il nostro amato Sankey Diagramm, notiamo come l’EBITDA consideri la parte in verde, quindi ricavi e costi operativi, escludendo la parte in rosso, quindi ammortamenti, svalutazioni, interessi finanziari e tasse.
L’EBITDA in questo caso ci dice che del 100% delle risorse fatturate, Nexi, nel 2023, è riuscita a trattenerne il 52% (1.751b vs 3.362b), impiegando il 48% di queste risorse per la propria attività operativa.
Ok, abbiamo ora chiaro (con ovvie e necessarie semplificazioni) in che modo calcolare l’EBITDA avendo a disposizione i dati di bilancio provenienti dal Conto Economico.
Ora però abbiamo bisogno di ulteriori informazioni per inquadrare meglio gli obiettivi di questo indicatore, capirne la logica e interpretare le parole del buon Charlie.
È per questo che cerchiamo di capire da dove l’EBITDA acquisisce così tanto valore.
John Malone and TCI - la popolarizzazione dell’EBITDA
TCI (Tele-Communications Inc.) era un’azienda di telecomunicazioni, fornitore di televisione via cavo negli Stati Uniti, acquisita da AT&T nel 1998 per 48 miliardi di dollari.
John Malone, attuale Chairman di Liberty Media (colei che controlla, per intenderci, la Fomula 1) ne è stato CEO dal 1973 al 1996.
La cosa incredibile però è che non ha mai registrato utili in tutta la sua storia.
Ma allora com’è possibile che un’azienda che non ha mai generato profitto possa essere acquisita da un’azienda importante come AT&T per una cifra così elevata?
Vediamo di capirne di più.
Chi è John Malone
John Malone ha iniziato la sua carriera nel 1963 proprio presso Bell Labs, l’unità di ricerca della stessa AT&T, in cui aveva il compito di studiare e analizzare le migliori strategie operative da adottare in mercati monopolistici. Ne deriva un consiglio abbastanza controcorrente per l’epoca, ovvero che AT&T avrebbe dovuto aumentare il proprio debito e ridurre il proprio equity. Aveva infatti capito che aziende così capital intensive e dipendenti da importanti investimenti dovevano massimizzare i propri flussi di cassa e abbattere i propri utili.
Portato nel consiglio di amministrazione, la proposta venne ignorata.
Stanco dell’eccessiva burocrazia di una grande compagnia come AT&T e con una ormai pressante voglia di cambiare, passò in McKinsey come consulente tecnologico per alcune delle aziende del Fortune500 e finì, così, in TCI con l’intento di ristrutturare ed evitare una bancarotta ormai annunciata.
TCI, infatti, aveva da sempre adottato modalità di gestione particolarmente aggressive, sino ad arrivare ad avere un’esposizione netta di debito pari a 17 volte il proprio fatturato.
“Meno dello sterco di balena” - Cit. John Malone
Era il valore che Malone attribuiva a TCI al suo arrivo.
Dopo anni di ordinata ristrutturazione, con un metodo quasi militare nel rispetto di indicatori, KPI e budget, dal 1977 Malone riuscì finalmente ad applicare la sua strategia:
Malone si rese conto che massimizzare gli utili per azione (EPS), il Santo Graal per la maggior parte delle società quotate in borsa a quel tempo, era incoerente con la ricerca di scala nel nascente settore della televisione via cavo. Per Malone, un reddito netto più elevato significava tasse più elevate (aumentava infatti l’utile ante-imposte, o EBT) e credeva che la strategia migliore per una società di questo tipo fosse quella di utilizzare tutti gli strumenti disponibili per ridurre al minimo gli utili e le tasse dichiarati e finanziare la crescita interna e le acquisizioni con il flusso di cassa ante imposte.
All’epoca, infatti, gli investitori di Wall Street valutavano le aziende in base all’EPS. Più alti erano gli utili, maggiore era il valore che il pubblico di investitori attribuiva all’azienda. Ma più alti erano gli utili, più alte erano le tasse che le aziende avrebbero dovuto pagare.
E si sa che le tasse, per un’azienda, sono fardelli estremamente improduttivi.
Al posto dell'EPS, Malone enfatizzava il ruolo dei flussi di cassa e nel farlo, ha inventato un nuovo vocabolario, che i manager e gli investitori di oggi danno ormai per scontato.
E arriviamo così al nostro EBITDA, indicatore di redditività reso popolare per la prima volta nel lessico aziendale dallo stesso Malone. L'EBITDA in particolare era un concetto radicalmente nuovo, che andava più in alto nel conto economico di qualsiasi altro indicatore per arrivare a una definizione pura della capacità di generare cassa di un'azienda. Questo prima degli impegni finanziari in interessi, tasse e ammortamenti o svalutazioni.
Malone pensava dunque che la crescita e la solidità della propria azienda dovesse passare per:
Nuovi debiti a condizioni migliori e sfruttamento della leva finanziaria
Sfruttamento della leva operativa, con economie di scala e migliori condizioni stipulate con i propri fornitori
Acquisizioni (ne fece 482 dal 1973 al 1989)
Massimizzazione dei flussi di cassa
Minimizzazione degli utili per ridurre l’impatto fiscale
L’EBITDA era dunque l’indicatore che più rappresentava la strategia di Malone, che lo utilizzava per valutare le performance e confrontare le aziende per capire quale avesse maggiore capacità di generare valore dalla propria attività caratteristica. I vantaggi, per Malone, e per tutti coloro che oggi lo utilizzano assiduamente, sono i seguenti:
✅ Focus sulle performance operative
L'EBITDA consente di isolare le performance operative di un'azienda, escludendo gli effetti delle decisioni finanziarie (interessi), fiscali (tasse) e contabili (ammortamenti e svalutazioni). Per Malone, questo era fondamentale per valutare il reale potenziale delle sue aziende, indipendentemente da come fossero finanziate o dalla loro struttura fiscale.
✅ Valutare aziende ad alto capitale investito
Malone operava in settori ad alto capitale investito, come le telecomunicazioni e la TV via cavo, dove gli ammortamenti e le svalutazioni erano voci molto rilevanti a causa degli elevati investimenti in infrastrutture. Questo ovviamente peggiorava gli utili ma l’EBITDA permetteva di presentare un'immagine più chiara e ottimistica della capacità di generare cassa operativa, senza che fosse distorta dagli alti costi non monetari di ammortamento.
✅ Facilitare il confronto tra aziende
L'EBITDA è una metrica utile per confrontare aziende con strutture fiscali e finanziarie diverse. Malone lo trovò vantaggioso, poiché lavorava in mercati con modelli di business simili, ma strutturati in modo diverso in termini di debito o regime fiscale.
✅ Strumento per acquisizioni e leverage
L'uso dell'EBITDA era, inoltre, particolarmente rilevante per Malone nel contesto delle molteplici acquisizioni che portò a termine. Utilizzando questa metrica, riusciva ad evidenziare il valore intrinseco delle aziende che acquistava o gestiva. L'EBITDA divenne inoltre fondamentale per dimostrare la capacità di servizio del debito, facilitando il ricorso a strategie di leverage (indebitamento) per finanziare nuove acquisizioni.
✅ Narrazione finanziaria più favorevole
Concentrarsi sull'EBITDA permetteva a Malone di raccontare una storia finanziaria più attraente agli investitori e ai creditori. Eliminando componenti che potevano "oscurare" le performance aziendali, riusciva a enfatizzare il potenziale dell'azienda, aumentando il suo appeal sui mercati finanziari.
Torniamo quindi al nostro amico Charlie.
Perchè Charlie Munger ha un’idea opposta rispetto a Malone?
EBITDA is bulls*t earnings
Mentre John Malone e la sua TCI rendevano popolare e molto diffuso l’utilizzo dell’EBITDA, Charlie Munger, nei suoi uffici della Berkshire sviluppava, invece, un pensiero diametralmente opposto. L’EBITDA non rappresentava un buon indicatore per valutare aziende e investimenti. Questo perché escludeva intenzionalmente voci di costo che, sebbene non caratteristiche, risultavano determinanti nella reale capacità dell’azienda di generare redditività.
Per Munger, al contrario, vi erano una serie di red flags che lo portavano a sostenere che l’EBITDA facesse sostanzialmente schifo:
🚩 Ignora i costi reali e inevitabili
Munger sottolinea che ammortamenti e svalutazioni non sono costi fittizi, ma, al contrario, riflettono reali diminuzioni di valore degli asset aziendali. Ignorarli porta a una visione distorta della redditività. Per esempio:
Un'azienda con alti costi di manutenzione o sostituzione degli asset (es. macchinari, infrastrutture) non può ignorare tali spese, che si riflettono nel bilancio tramite l'ammortamento.
Munger ritiene che escludere questi costi equivale a fingere che le aziende possano operare senza rinnovare o mantenere i loro asset, cosa ovviamente non-realistica.
🚩 Favorisce una visione ottimistica e fuorviante
Munger considera l'EBITDA uno strumento spesso utilizzato dai manager per abbellire i risultati aziendali e presentare l'azienda in modo più attraente agli investitori o ai creditori. Ignorando le spese non monetarie e gli interessi sul debito, l'EBITDA tende a sovrastimare la redditività reale.
🚩 Penalizza il buon management finanziario
Escludendo gli interessi e le tasse, l'EBITDA non premia le aziende che gestiscono bene il loro capitale e il debito. Per Munger, una buona azienda non è solo operativamente efficiente, ma anche in grado di ottimizzare la sua struttura finanziaria e minimizzare i costi fiscali. Ignorare questi aspetti significa trascurare qualità gestionali essenziali.
🚩 Non misura la capacità di generare cassa reale
Sebbene l'EBITDA sia spesso usato come proxy per la generazione di cassa, Munger sottolinea che non tiene conto delle vere uscite di cassa, come interessi, tasse, o spese in conto capitale. La capacità di un'azienda di generare cassa reale per reinvestire, pagare dividendi o ridurre il debito non può essere catturata da questo indicatore, bensì è necessario spostare l’attenzione sul Cash Flow Statement.
🚩 Favorisce comportamenti rischiosi
Munger è particolarmente critico nei confronti dell'uso dell'EBITDA nelle aziende con alto indebitamento o in settori con elevati investimenti di capitale. Per esempio:
Usare l'EBITDA come base per calcolare il rapporto debito/reddito operativo può indurre i manager a prendere rischi eccessivi, assumendo più debito di quanto l'azienda possa sostenere realisticamente.
L'EBITDA ignora completamente la necessità di reinvestire continuamente nel business, dipingendo una realtà troppo rosea per settori capital-intensive.
🚩 L'utile netto è un indicatore migliore
Ne consegue, da queste considerazioni, che Munger e Buffett hanno sempre preferito guardare l'utile netto, che considera tutte le spese, incluse tasse, interessi e ammortamenti. Anche i flussi di cassa liberi (free cash flow) sono strumenti migliori per valutare la salute finanziaria, in quanto rappresentano il denaro effettivamente disponibile per gli investitori dopo tutte le spese necessarie.
Cosa ci portiamo a casa da questo approfondimento?
Io personalmente mi porto a casa che entrambi non hanno ne torto ne ragione.
E lo dico non perché penso che non siano competenti in materia. Ti immagini sostenere una cosa del genere su due colossi come Munger e Malone? 😅
Ho però la convinzione che questo sia un chiaro esempio di come alcuni strumenti rappresentano una parte del tutto.
Utilizzare l’EBITDA permette di avere una visione piuttosto chiara della capacità dell’azienda di ottimizzare la propria struttura operativa, ma non è sufficientemente rappresentativo di altre dinamiche e capacità manageriali che possono essere considerate solo se si utilizzano altri strumenti.
Così come sostenere che l’EBITDA sia inutile e limitato, che è certamente una provocazione, deve considerare gli obiettivi di analisi. Utilizzando l’EBITDA non posso pretendere di avere una visione chiara della gestione complessiva dell’azienda, ma allo stesso tempo posso fare affidamento su uno strumento che mi permette di confrontare aziende dello stesso settore e avere una prima idea di come performano.
Quando analizzo un bilancio, un’azienda o un progetto di investimento, qual è l’obiettivo della mia analisi? Solo sapendo rispondere a questa domanda potrò scegliere con attenzione gli strumenti da utilizzare.
E tu?
Cosa ne pensi dell’EBITDA?
Bel post, Carlo!
Sapevo dell’avversione del buon e compianto Charlie all’EBITDA, ma non la sua storia.
Anche oggi ho imparato qualcosa di nuovo.
Grazie!